Le Origini

Il primo atto pubblico rinvenuto sulla Casa di Riposo “A. Galvan” è costituito da un verbale del Consiglio Comunale di Pontelongo datato 14 settembre 1888, nel quale si deliberava la permuta di una strada di proprietà del Comune con uno stabile di proprietà del Barone Dott. Leone da Zara, proprietario terriero, padre del più noto Leonino, famoso per le sue imprese aviatorie, condivise anche con il “divino poeta”, Gabriele D’Annunzio.

In questo stabile, il Comune realizzava una struttura destinata a “ricovero di mendicità”, in modo da sostituire il “ricovero” già esistente (proprietà Masiero) che ospitava 12 persone.
La nuova struttura, sita in via Mazzini 63, poteva ospitare, dal 1891, in piena età Crispina, 30 persone in stato di povertà.
Emerge così un primo dato significativo per una realtà prevalentemente agricola, dove la famiglia patriarcale riusciva, solitamente, a contenere al proprio interno i bisogni di quei componenti che manifestavano uno “stato di disagio”, prevalentemente dovuto all’incapacità di procurarsi un reddito per il sostentamento: come nelle realtà urbane, più evolute, di quel periodo storico, dunque, il Comune di Pontelongo decideva di dotarsi di una struttura residenziale che potesse dare protezione, riparo e sostentamento ad una parte di popolazione afflitta dalle contraddizioni di un mondo connotato da forti squilibri sociali ed economici.
Il “bisogno” che si intendeva sostenere era la povertà e la conseguente emarginazione sociale, per quelle persone che non potevano fare affidamento su se stesse e sul sostegno familiare.
Nel 1892, le persone che prima vivevano nella “proprietà Masiero” venivano così trasferite nella “casa” di via Mazzini.
La struttura continuava, per gli anni a venire, a funzionare e a dare un servizio continuativo a 30 persone indigenti, fino al 1917, anno in cui si erige l’ Ente Morale “Pia Casa di Ricovero di Pontelongo”

La casa di Riposo veniva dotata così di un patrimonio di 51 mila lire a cui contribuirono i benefattori Cav. Uff. Antonio Galvan, Baldan Bembo Giuseppe, Ostani Luigi e C. e aveva per scopo “di provvedere gratuitamente, secondo i propri mezzi, al ricovero, al mantenimento e all’assistenza dei poveri d’ambo i sessi che raggiungono l’età dei 65 anni per i maschi e 60 anni per le femmine, inabili al lavoro proficuo e da considerarsi come abbandonati alla pubblica pietà (…), aventi domicilio di soccorso nel Comune di Pontelongo e che non abbiano parenti tenuti a provvedere alla loro sorte ed in grado di farlo.
”Come sopra detto, questa finalità, contenuta nell’art. 2 dello Statuto originario dell’ Ente, tutt’oggi gelosamente custodito agli atti dell’ Ente, coincideva perfettamente con la volontà dell’allora legislatore nazionale (Crispi) che nel redigere la legge che porta il suo nome (L. n° 6972/ 1890) si proponeva, per la prima volta nel nostro Paese, di disciplinare la materia dell’ Assistenza con una legge di ampio respiro (legge “quadro”), sopravvissuta per oltre un secolo (e riformata solo nell’anno 2000).

Il legislatore, infatti, intendeva dare una risposta ad una situazione sociale sempre più drammatica e lo Stato Unitario intendeva arginare, con embrionali misure da “stato sociale”, un diffuso malcontento delle masse “povere” che poteva sfociare in disordini e violenze (non a caso Crispi attribuiva le competenze in materia di assistenza al Ministero degli Interni e alle Prefetture, che, in collaborazione con i Comuni, teneva aggiornate le “liste di mendicità”, in modo da controllare e prevenire fenomeni di rivolta sociale, già diffusi nel Paese).
Leggendo lo Statuto originario, inoltre, tra le varie curiosità, troviamo che all’art.3 si stabiliva con forza il divieto a “qualunque diversità di trattamento fra i ricoverati”, anticipando, di fatto, i contenuti che saranno propri della Costituzione Repubblicana del 1948. E ciò sembra dimostrare che la classe politica di Pontelongo del tempo era portatrice di una cultura avanzata, innovatrice, potremo dire.
All’art. 4, invece, si chiariva che l’ Ente non poteva dare assistenza a persone affette da “patologie contagiose o mentali”, in quanto si riteneva che queste potessero compromettere l’equilibrio delle altre persone ospitate (sia in stato di benessere che di malattia) e, perché si riteneva che altre strutture (ospedali e manicomi) fossero deputate a fornire assistenza a queste persone.
Nel 1917, anno cruciale per la nostra Istituzione, veniva nominato quale Presidente della Pia Opera il Cav. Uff. Antonio Galvan, che rimarrà in carica fino al 1921 e nello stesso anno la Casa di Ricovero trasferisce la propria sede in uno stabile situato nelle vicinanze dell’attuale cinema di Pontelongo, in quanto nella struttura di via Mazzini verrà ospitato il locale Ufficio Postale.
Nel 1918, la Casa di Ricovero viene intitolata ad Antonio Galvan, durante la sua presidenza, e questo come segno di riconoscenza per le sue ripetute donazioni (per un totale di 150.000 lire) fatte nel tempo.
Occorre attendere poi il 1922 perché la Casa di Ricovero, con i propri mezzi, potesse acquistare dal Comune di Pontelongo, 2000 mq di terreno nella zona allora detta “della fiera”, per un importo di 1.520= lire, per la costruzione della nuova struttura, per la quale il Cav Uff. Galvan aveva dichiarato di mettere a disposizione le necessarie sostanze economiche, e un atto comunale del 1924 fa menzione, per la prima volta, della “recente costruzione” che ospita la sede della Casa di Ricovero sita nell’attuale via Galvan, ove ancor oggi ha sede l’Istituzione.

Questa nuova sede verrà nel tempo ampliata e il primo significativo intervento per ingrandirla è stato compiuto nel 1936, grazie alla donazione Dupont. L’Ing. Roberto Dupont, proveniente dal Belgio e allora Direttore dello Zuccherificio locale, infatti, autore del lascito, chiese di intitolare il nuovo “padiglione” alla defunta moglie Didi., personalità di spicco tra i cittadini di Pontelongo e dagli stessi molto amata, deceduta il 2 agosto dell’anno precedente.
Negli anni cinquanta, dopo la realizzazione di altri interventi, sostenuti anche da fondi messi a disposizione dal Comune, la struttura verrà ad avere una capacità ricettiva per 50 ospiti, numero che verrà elevato a 70 negli anni sessanta. Dopo il 1970, la struttura viene predisposta per ospitare, in stanze che disponevano anche di 10 letti, gli attuali 90 posti letto.
In questo periodo, comunque, l’utenza del servizio residenziale era “stabilizzata”, in condizione di generale autonomia, nel senso che il ciclo vitale delle persone era abbastanza lineare: si viveva in condizione di autosufficienza fino all’insorgere di patologie invalidanti che, quasi sempre, portavano inevitabilmente alla morte.

Non esistevano, cioè, casi di prolungata non autosufficienza, e i servizi erano sostanzialmente organizzati per dare assistenza “basilare” ai bisogni che, oggi, definiremmo di valenza “sociale”, i quali escludevano interventi di natura sanitaria eccedenti la visita di un medico ovvero, in caso di malattia dichiarata, dopo eventuali ricoveri in ospedale, il compito della struttura si limitava all’accompagnare la persona nelle fasi finali della vita.
Questa “semplicità” organizzativa era dimostrata dall’assenza di personale specializzato operante in struttura (allora non vi era una legislazione che disciplinasse la tipologia di personale, il possesso di requisiti professionali, ecc.) e la “qualità” dei servizi coincideva quasi esclusivamente nella capacità del personale di assistenza, allora organizzato da personale religioso (suore), di relazionarsi positivamente con le persone che fruivano del servizio residenziale.
In questa relazione umana, si è connotata una specificità ancor oggi riconosciuta nel nostro territorio alla Casa di Riposo: non essendo questa una struttura di grandi dimensioni, il rapporto tra le persone in essa presenti era connotato più da relazioni di tipo familiare che da quelle di tipo “istituzionale”.
Il personale della Casa di riposo di quegli anni, inoltre, non sempre ben considerato dal resto della comunità di Pontelongo (la Casa era chiamata in senso dispregiativo “il lazzaretto” e non sempre il lavoro assistenziale era considerato onorevole), affermava l’importante valore della lotta all’esclusione sociale, sforzandosi di dare dignità alle persone, anche se povere e abbandonate. In un periodo storico in cui l’esclusione e lo stato di indigenza erano “vergogne” sociali, l’affermarsi di questa mentalità agevolerà, negli anni a venire, lo svilupparsi di una cultura dell’assistenza che ha portato la nostra Casa di Riposo a strutturare delle forme di intervento originali e riconosciute, anche a livello più generale, come qualitative. In questo decennio (fine anni sessanta-fine anni settanta) si getteranno quindi le basi per la gestione dei problemi che hanno connotato i decenni successivi, quali l’aumento esponenziale della popolazione anziana nella nostra società, l’allungamento della vita grazie ai progressi scientifici e medici in particolare, l’invecchiamento “polipatologico”, con tutti i problemi connessi alla condizione di dipendenza dagli altri (non autosufficienza) e all’aggravio degli interventi, e dei costi relativi, sulla persona in stato di bisogno

Verso la metà degli anni ’80, il nostro Paese ha assistito al fenomeno da più parti definito come la “bomba gerontologica” e cioè alla tendenza al progressivo aumento, nella popolazione, del numero di persone anziane.
Questo fenomeno, correlato, come già detto, al miglioramento generale delle condizioni di vita e al progresso scientifico e medico, in particolare, coniugato con quello della “denatalità”, ha determinato:

  • un aumento percentuale consistente di persone anziane nella popolazione italiana;
  • un allungamento della vita media;
  • un processo di invecchiamento che contempla la sopravvivenza, pur in presenza di malattie gravi ed invalidanti;
  • un incremento del numero di persone in stato di sempre maggiore non autosufficienza;
  • un aumento esponenziale dei bisogni assistenziali;
  • un conseguente aumento dei costi di assistenza e, quindi, delle risorse necessarie.

Il fenomeno del progressivo invecchiamento della popolazione ha, pertanto, investito, come una deflagrazione, appunto, il nostro Paese, che già in quegli anni mostrava delle caratteristiche specifiche rispetto al resto degli altri Paesi Europei, al punto che oggi l’Italia mantiene il primato di Paese più “vecchio” al mondo! E la criticità del fenomeno ha da subito pesantemente investito il sistema di welfare e i modi di finanziamento della spesa pubblica.
E’ allora facile comprendere che l’epocale trasformazione della nostra società, inedita per un Paese che solo un ventennio prima aveva conosciuto, oltre ad un benessere economico precedentemente mai raggiunto, il “boom delle nascite”, era destinata a ripercuotersi a tutti i livelli ed estendersi su tutti gli aspetti della vita sociale.
La tendenza della popolazione ad invecchiare ha posto da subito alla classe politica e dirigente nuovi e complessi interrogativi: da un lato occorreva ridiscutere il “patto” tra generazioni, dovendo definire quali scelte operare in favore di una fascia di popolazione sempre più consistente e portatrice di bisogni più “pesanti” e di una composizione articolata, dall’altro riflettere sull’adeguatezza dei servizi a disposizione e sulla necessità di trovare nuovi spunti per organizzare le risposte ai nuovi bisogni.

La crisi fiscale, connotata da un sentimento di marcata avversione per una tassazione sempre più consistente, ha costituito un ulteriore elemento di complicazione del quadro, venendo intaccata la fonte di entrata maggiore da destinare alla spesa sociale.
Sono questi gli anni in cui si parla della condizione anziana come di una “nuova povertà”, mettendo l’accento, oltre che sulla natura del disagio e sullo stato di bisogno, anche sui criteri di finanziamento del sistema di benessere, con margini di operatività dello Stato sempre più risicati.

Sono anche gli anni, però, di uno sviluppo economico controverso: l’Italia diviene, per reddito prodotto, il quinto Paese al mondo, ma proprio in quegli anni, si sfonderà ogni precedente tetto di disavanzo del Bilancio nazionale, fino ad assistere al collasso nei primi anni del decennio precedente, dove il debito pubblico era ormai giunto a livelli insostenibili.
Pur con risorse limitate, comunque, occorreva fare delle scelte che oserei definire “di civiltà”, occorreva decidere, cioè, quale futuro assegnare alle generazioni che avevano assistito ai due conflitti bellici mondiali, che avevano contribuito alla ricostruzione e alla rinascita, anche morale del Paese.
La Regione Veneto, ricca di una tradizione culturale e politica che ha consentito di porre al centro del dibattito di quegli anni questi problemi, aveva predisposto, già nel decennio precedente, i primi atti legislativi in favore dei cittadini anziani, dalle provvidenze economiche per l’abbattimento delle barriere architettoniche nelle abitazioni private, alla definizione di un “sistema” di servizi in grado di far fronte alla crescente domanda di interventi, sia di natura socio assistenziale che sanitaria.
La Regione Veneto aveva compreso, tra l’altro, che l’invecchiamento della popolazione non poteva essere risolto unicamente con interventi di natura economica, ma ravvisava, con lungimiranza, la necessità di predisporre tutta una serie di iniziative in grado di “governare” il fenomeno, prevenendo anche le forme degenerative più imminenti. A tal proposito basti pensare al dibattito critico sviluppatosi sulle “lungodegenze”: da subito si era compreso che “delegare” la gestione dei problemi dell’anziano al servizio ospedaliero non avrebbe dato risposte sufficienti anzi, la classe politica regionale di quegli anni comprese le possibili future distorsioni cui la condizione degli anziani andava incontro.
Il decennio qui considerato, prende così avvio con una produzione normativa di spessore che si propone di affrontare l’incipiente problematica dell’invecchimento “polipatologico” e della “non autosufficienza”.
Nel 1982, infatti, la Regione Veneto approvava la legge n° 55 che definiva, nel più ampio contesto dell’organizzazione di un sistema integrato di servizi assistenziali, un modello di assistenza che fosse in grado di rispondere alle nuove istanze della società. Si disciplinavano le caratteristiche strutturali ed organizzative dei servizi, in particolare delle strutture per anziani.

In questi anni, allora, anche la Casa di Riposo di Pontelongo ha partecipato al disegno di riorganizzazione dei propri servizi e gli amministratori allora in carica adottavano i primi atti per un ammodernamento strutturale importante che consentisse agli anziani accolti di poter fruire di spazi più adeguati alle nuove esigenze. Verso la metà degli anni ‘ 80, infatti, prendevano avvio i lavori di riduzione delle stanze di degenza, prima disposte per accogliere circa una decina di persone ed ora articolate in stanze più ridotte.
Si comprese, allora, che occorreva passare dalla logica dell’”ospizio” a quella della “residenza”, con caratteristiche tali da poter fruire di spazi vitali e di socialità più dignitosi, dove l’umanizzazione degli interventi e un maggiore rispetto per gli spazi individuali di vita diventavano elementi cardinali importanti.In questo periodo anche le neonate Unità Socio-Sanitarie Locali assumevano un rilevante ruolo di stimolo per le strutture ad eseguire interventi per l’ammodernamento del patrimonio strutturale, preoccupandosi anche di verificare gli standard di sicurezza.
Si costruisce così un ascensore, per il trasferimento di ospiti con problemi di mobilità, dal piano inferiore a quello superiore della residenza; si dà avvio al rifacimento dell’impianto elettrico, si reperiscono degli spazi per offrire anche stanze individuali per persone con problemi di convivenza collettiva o per coloro che preferivano un’accoglienza di tipo simil alberghiero.
Sul versante della gestione del personale, in questi anni si comprende, sempre con maggiore chiarezza, che per svolgere efficacemente un servizio alla persona, occorre investire sulla crescita professionale ed etica delle risorse umane e, verso la fine degli anno ’80 prendono avvio i primi corsi di qualificazione professionale e per poter accedere ai posti della dotazione organica si dovevano possedere dei requisiti (titolo professionale) definiti.

Progressivamente, anche nella Casa di Riposo di Pontelongo, si assisteva ad una mutazione nell’utenza: il numero di persone affette da patologie invalidanti che non portavano però direttamente alla morte, anzi, che potevano permanere per molti anni, prima del decesso, tendeva a crescere sempre più e ciò ha messo in crisi la tradizionale organizzazione del lavoro, ancora disposta per far fronte a bisogni assistenziali basilari, ma inadeguata a rispondere alle nuove problematiche poste dalle persone anziane accolte, spesso connotate da problemi cognitivi e di comportamento.
Il problema non troverà soluzione immediata, ma si creeranno in questi anni i presupposti per la vera “rivoluzione” dei servizi per gli anziani che vedrà la luce nel decennio successivo.